Il 27 agosto a Belluno, davanti a una folta platea di ingegneri, geologi e addetti alla gestione delle situazioni di crisi come Vigili del fuoco e uomini della Protezione civile, il professor Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ha tenuto una lunga conferenza sullo stato di rischio attualmente esistente in Italia riguardo ai vari tipi di terremoto.
Che l’Italia sia un paese altamente sismico è tristemente noto e costantemente ci viene ricordato dai catastrofici eventi che si registrano lungo tutta la penisola.
Ciò su cui ha posto l’accento Doglioni, però, è l’importanza della raccolta storica di dati sui luoghi precisi in cui essi avvengono e sul ruolo fondamentale svolto dal suo istituto nell’estrapolare i dati da analizzare per poter giungere un giorno, forse, alla predizione di questi avvenimenti disastrosi.
«Affermare con certezza quando si verificherà il prossimo terremoto non è ancora possibile», ha spiegato Doglioni, «ma possiamo indicare il punto nel quale questo potrebbe accadere: grazie a una nuova tecnica che si basa su un sistema di satelliti che passano ogni sei giorni sopra l’Italia e che ci segnalano ogni abbassamento o deformazione della terra, speriamo in futuro di poter salvare vite umane grazie a questa e ad altre innovazioni derivate dalla ricerca scientifica».
Un altro punto interessante anche per i non addetti ai lavori toccato dal professore 61enne di Feltre sono stati i limiti nella carta del rischio sismico che registra l’accelerazione del suolo e che chi costruisce un edificio deve seguire per valutare le contromisure da adottare in fase di progettazione.
«È un indicatore ambiguo che può trarre in inganno», ha spiegato Doglioni, «perché una persona vedendo la propria abitazione inserita in un’area a minor rischio potrebbe dedurre di trovarsi al sicuro, invece si tratta semplicemente di un punto nel quale i terremoti anche di grado 6. 5 o 7 sulla scala Richter sono meno frequenti, ma non impossibili».
Proprio seguendo questa ambiguità, sulla mappa del rischio si nota come i luoghi interessati dal terremoto del Friuli siano considerati più pericolosi rispetto all’area di Belluno, «ma», continua Doglioni, «mentre nella prima zona l’energia del terremoto si è già scaricata nel 76, in quella prealpina Veneta e bellunese l’accumulo continua dai terremoti del 1873 e del 1936 ed è per questo che rientra tra le zone nelle quali è logico aspettarsi un fenomeno sismico importante. Nonostante questo il fattore di rischio da calcolare nella costruzione degli edifici bellunesi resta inferiore, seppur più alto rispetto al resto del Veneto».
Il professore, poi, ha mostrato alcune immagini riprese tra le macerie di Amatrice, sottolineando come gli edifici in pietra, che risentono maggiormente dei movimenti sismici, siano molto presenti anche in altre aree montane, compreso il bellunese.